13 Ottobre 2018

“Il sole della motivazione”

Il sole della motivazione, l’acciaio dell’azione, uniti nell’unico obbiettivo: la realizzazione di un sogno di normalità.

… Mentre meditavo su che cosa fosse un simile ” io “, non potei non riconoscere che, in realtà, esso coincideva perfettamente con lo spazio fisico da me occupato. Ciò che stavo cercando era un linguaggio del ” corpo “. Presupponendo che il mio io fosse una dimora, il mio corpo era l’orto che la circondava. Avrei potuto coltivare con perizia quell’orto, oppure lasciare che fosse invaso dalle erbacce. Ero libero di agire come meglio ritenessi, ma una simile libertà non era tanto facilmente comprensibile: e infatti la maggior parte degli uomini chiama “destino” il giardino della propria casa. Un giorno decisi di incominciare a coltivare alacremente il mio orto. Usai sole e acciaio…

Attraverso le parole e quindi il pensiero di Yukio Mishima, estrapolati dalla sua autobiografia(Sole e Acciaio), cercheremo di andare oltre il dualismo: malattia-spirito e corpo. Tutti noi sappiamo bene quanto il nostro stato ci condizioni i pensieri e di conseguenza lo spirito. (Possiamo chiamarlo Io, oppure con Heidegger il nostro esser-ci, qui ora e nel tempo.) Tanto che siamo portati a tralasciare la cura del corpo come se fosse qualcosa di ininfluente. O, addirittura, da nascondere perché impresentabile a causa della nostra inadeguatezza a coltivarlo per colpa della malattia. Nel caso di Mishima essendo scrittore già nell’adolescenza, il dualismo spirito-corpo si realizza attraverso le parole, che, possiamo dire, mettono in un angolo le sensazioni corporee. Ma il corpo ha comunque un suo linguaggio e per quanto tentiamo di ignorarlo, prima o poi, dobbiamo o subirlo o cercare di interpretarlo. Nel caso di Mishima le parole, e ciò che portavano con loro, erano così preponderanti ed aggressive tanto da corrodere il corpo: Quando rifletto attentamente sulla mia infanzia mi accorgo che per me i ricordi legati alle parole risalgono a tempi infinitamente più lontani della memoria carnale. A una persona comune si presenta prima il corpo e poi il linguaggio, mentre a me si manifestarono in primo luogo le parole e in seguito, molto più tardi, con estrema riluttanza, mi apparve il corpo, già in una forma ideale: ed esso era, inutile a dirsi, già corroso dalle parole. Dunque il corpo presto o tardi si presenta, ma come lo fa con noi? Lo subiamo come un peso, un fardello da sopportare, quel “destino” che non ci permette di vivere la nostra fisicità ideale. Una malintesa correlazione tra la malattia e la conseguente impossibilità reale di avere un corpo adatto per l’azione.

… Molto tempo dopo appresi il linguaggio del corpo, esclusivamente grazie al sole e all’acciaio, come se studiassi una lingua straniera. Divenne la mia seconda lingua, un’educazione costruita, il cui sviluppo desidero ora descrivervi. Forse sarà una storia insolita e, come tale, molto ardua da comprendere…

Come può essere arduo, prima comprendere e poi ribaltare completamente il nostro punto di vista. Se i messaggi che ci invia il nostro corpo vengono interpretati esclusivamente in via negativa, otterremo una sempre maggiore identificazione con la malattia. E il corpo in questo caso come la causa del nostro stato di malessere, l’impedimento che non ci consente di avere quella fisicità ideale necessaria per goderne appieno. Ma così facendo creiamo una bolla attorno a noi, una falsa realtà che ci protegga dal mondo esterno. E che, in definitiva, ci consenta di non coltivare “quell’orto” (il corpo), in quanto entità oramai corrotta, non funzionale e pertanto da non mostrare. Ma se noi partissimo invece dal presupposto opposto?

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