5 Gennaio 2016

Diabete e sport agonistico

Perché il diabete non è un ostacolo serio alla pratica sportiva?

 

Vi sono fior di campioni olimpionici affetti da Diabete Mellito tipo 1 in terapia micro infusiva! Nessuno sport o nessuna attività fisica, di fatto, è controindicata. Certo arrampicarsi in solitaria, esplorare fondali marini in solitaria, l’automobilismo o il motociclismo o sport che mettono il soggetto in situazioni di pericolo, o praticare sport di contatto come boxing, ecc. non è prudente e per tale motivo sono pratiche sconsigliabili ma non è possibile affermare che queste pratiche sportive siano da negare. Bisogna sempre affrontare la pratica sportiva ben allenati e in fase di buon controllo glico-metabolico. Bisogna, inoltre precisare che esistono attività sportive aerobiche come jogging, ciclismo lento e in piano, corsa lenta, sci di fondo, pattinaggio, ecc. in cui il consumo di glucosio avviene in presenza di ossigeno con una ottimale resa energetica; e attività sportive anaerobiche come calcio, tennis, basket, sci alpino, ciclismo su strada o pista, ecc. in cui il consumo di glucosio avviene in assenza parziale di ossigeno con una non ottimale resa energetica e una più o meno importante produzione di acido lattico, prodotto tossico e che non dovrebbe mai superare determinati limiti. Il Diabete è da considerare una condizione metabolica che necessita di un buon grado di controllo che gioverà tantissimo dell’attività fisica.

Dr. Allochis Gabriele ex primario Diabetologia Ospedale di Novara. Medico che ha seguito Fabio sino alla soglia del trapianto delle cellule pancreatiche, e che comunque ancora segue.

Dopo questa autorevole premessa vediamo insieme a voi quali possano essere i parametri a cui ci dobbiamo attenere se vogliamo cimentarci in sport a livello agonistico.

La pratica regolare di esercizio fisico o di attività sportiva è parte integrante del trattamento del diabete di tipo 2, soprattutto per i soggetti sovrappeso o obesi. Contribuisce al controllo glicemico e alla buona forma fisica anche nel diabete di tipo 1. Inoltre, l’attività sportiva aumenta il senso di benessere e di sicurezza, accresce la fiducia in se stessi (autostima), riduce i livelli di ansia e di depressione. Richiede comunque un’accorta programmazione e gestione. Lo sport agonistico, dato lo stress fisico e psichico superiore che inevitabilmente comporta, richiede maggiori adattamenti della terapia e della dieta. Pertanto necessita di un più stretto monitoraggio della glicemia e di conseguenza di un’attenta autogestione sia del microinfusore che degli integratori glucidici. Infatti “Agonistico”, per definizione, significa: competizione. Contro altri, per batterli, contro se stessi per migliorare la propria performance. Quindi due stress abbinati: uno propriamente fisico con allenamenti che periodicamente andranno al di là del 75/80% della nostra F/C di soglia anaerobica. (Il 75/80% della frequenza cardiaca di soglia ci consente di lavorare con una percentuale di lattato perfettamente sopportabile ed interamente smaltibile senza conseguenze metaboliche. Egualmente per quanto riguarda i corpi chetonici.) Allenamenti che, attraverso progressivi aumenti di quantità e intensità, arriveranno ad essere sovrapponibili alla competizione stessa. Perciò al massimo delle nostre possibilità e sempre alla ricerca di un nuovo limite da superare. Con tutte le conseguenze assimilabili: accumulo di acidità locale non smaltita a livello generale, corpi chetonici, radicali liberi, ipersecrezioni ormonali da stress fisico e psichico. Uno psicologico altrettanto importante, soprattutto a livello giovanile, quando ancora non si è in grado distinguere gli obbiettivi dalle sfide. Quando si vuole dimostrare di essere migliori degli altri in ogni occasione. Cercando di nascondere, o minimizzare, a sé e ai compagni la malattia, come se fosse una colpa da cui giustificarsi. Dimostrando così di non aver ancora compreso le dinamiche di accettazione: il diabete fa parte di noi come i capelli rossi o il 45 di piedi, fino a quando non ci saranno metodi definitivi alla portata di tutti per guarirlo. (non c’è nulla da nascondere ma solo comportamenti da mettere in pratica per raggiungere gli obbiettivi di vita e poi agonistici) Questi atteggiamenti causano l’ansia da prestazione che, se è giustificabile prima di una competizione, non lo è ad ogni allenamento od occasione di confronto con i compagni, o con se stessi. Nel nostro caso questo stress da prestazione causa la secrezione di ormoni quali il cortisolo e le catecolamine che causano pericolosi rimbalzi glicemici.

Dopo questa premessa parrebbe che l’attività agonistica non sia la cosa migliore per noi, ma non è così! Sicuramente l’attività agonistica non è la cosa migliore per nessuno: lo sport è una cosa, l’agonismo è un’altra. Ma, psicologicamente, può essere la molla che attraverso la necessità di sottostare a regole ben precise porta più velocemente all’accettazione di sé. Il fare parte di una squadra che conta su di te, sia a livello individuale, punteggi portati da piazzamenti (ciclismo, corsa, nuoto, tennis ecc); sia di partecipazione attiva (calcio, basket, giochi di squadra veri e propri), ti responsabilizza nei confronti degli altri e di conseguenza all’apporto che devi dare alla squadra. Per cui l’obbiettivo diventa essere competitivo, l’effetto sarà il rispetto di tutti i parametri che ti consentono di poterlo essere. ( Posso permettermi importanti sbalzi glicemici? No, quindi emoglobina glicosilata sotto i 7. posso permettermi delle chetoacidosi frequenti? No, quindi accurato e costante uso del cardiofrequenzimetro negli allenamenti. Percentuale di grasso 8/12 max 15% nei ragazzi, 18/22 max 25% nelle ragazze.) In altre parole non devo diventare un atleta attraverso l’agonismo, ma devo già esserlo in buona parte, prima di poterlo praticare in condizioni di sicurezza accettabili. Va da sé che: dieta, controllo glicemico e integrazione assumono un ruolo determinante, sia negli allenamenti che nella competizione vera e propria. Quindi l’impostazione della dieta nei giorni di riposo, pre e post allenamento, pre-gara, in gara, post-gara. Naturalmente diventa fondamentale l’autogestione del microinfusore, o comunque la gestione dell’insulina e del tipo della stessa, vista la diversa composizione della dieta nei vari giorni, soprattutto nella componente glucidica. Essendo estremamente variabile il comportamento sotto stress di ognuno di noi, e l’agonismo come abbiamo visto è un grandissimo stress, le quantità di carboidrati e di insulina andranno individuate ed in parte generalizzate nei vari periodi di allenamento, gara e riposo. Ma tenute costantemente sotto controllo in maniera da poter intervenire immediatamente in caso di necessità. Durante l’attività fisica mantenersi entro parametri di sicurezza da iper o ipoglicemie, significa attestarsi in range ottimali tra i 120mg/dl e 200. Non iniziare dell’attività fisica, soprattutto agonistica, con parametri sopra i 250mg/dl, e fino a 250 solo se in assenza di chetonuria.

Classificazione degli sport agonistici

per il giudizio di idoneità nel diabetico

 RACCOMANDATI: Gruppo A

Sport con impegno cardiocircolatorio medio/elevato e regolari incrementi della FC: marcia, podismo, nuoto, ginnastica, ciclismo e sci (fondo e discesa), danza

 AUTORIZZATI: Gruppo B

Sport con impegno cardiocircolatorio medio/elevato: calcio, calcio a 5, pallacanestro, pallavolo, pallamano, baseball, atletica leggera, canottaggio, tennis  

Sport di tipo neurogeno: sport di tiro (a segno, a volo, con l’arco), pesca sportiva, golf, bocce, bowling, equitazione, ippica, vela non in solitario, tuffi, scherma

SCONSIGLIABILI: Gruppo C

Sport con impegno di tipo pressorio: sollevamento pesi, body building, pugilato e simili, karatè, lotta (libera e greco-romana), judo

 SCONSIGLIABILI: Gruppo D

Sport a rischio intrinseco: sport motoristici (automobilismo e motociclismo), attività subacquee, paracadutismo, alpinismo, sci alpinismo, deltaplano, volo da diporto o sportivo

Scritto questo, se la nostra qualità della vita passa attraverso la competizione ben venga, ma con la consapevolezza dei rischi a cui ci sottoponiamo, e perciò con l’accortezza di ridurli al minimo indispensabile. Per quanto riguarda le arti marziali inserite negli sport sconsigliati, lo sono in quanto sport di contatto e quindi pericolose soprattutto per le retinopatie. (Sappiamo bene che glicosilate alte per lunghi periodi possono causare complicanze microvascolari.) Ma questo, a mio parere, vale solo se viste in maniera occidentale. E come potremmo vederle diversamente? La vera arte marziale consiste nella consapevolezza dello scorrere dell’energia, nella fusione del corpo e della mente che sfociano nella purezza del gesto:

 “Ken Zen Ichinyo”: il pugno (karate) e lo zen sono una cosa sola. Il momento contemplativo e l’azione divengono così un unico gesto. Il confronto con gli altri un incontro con se stessi. Si impara svelando le proprie conoscenze e le proprie paure, riconoscendo quelle dell’altro. Se la nostra passione sono le arti marziali il Kata ne è la massima espressione. In conclusione non è affatto necessario arrivare a veri e propri combattimenti per apprezzare il valore intrinseco di un’arte marziale. L’autocontrollo e di conseguenza la calma consapevolezza di sé che ne deriva, a mio parere, ne fanno un ottima attività, se “solo” così la vogliamo inquadrare.

In definitiva: attività agonistica sì, entro determinati parametri iniziali e attentamente seguiti.

Il fiume scorre impetuoso cullando un fiore di loto, la brezza dipinge il cielo terso del mattino con rosei petali di pesco, nel vento e nell’acqua sono semplicemente il mio destino.

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